A scuola con il museo. Storia di un cammino educativo in comune.

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Scritto da Laura Lanari

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Agosto 10, 2020

Nel tempo, la definizione ICOM ha avuto varie interpretazioni, a livello normativo e attuativo, le innovazioni introdotte nei Musei hanno fatto progressivamente evolvere l’interpretazione del rapporto scuola/museo nella direzione di una relazione via via sempre più interattiva, partecipata, inclusiva e rivolta al coinvolgimento attivo degli bambini e degli studenti.

Già Il Ministro Giuseppe Bottai affermava che: “non è, dunque, soltanto agli studiosi ed ai loro interessi scientifici, ma al grande pubblico e alle sue esigenze culturali che deve rivolgersi il museo.”

Le prime esperienze della collaborazione scuola museo, in Italia, si possono individuare nei primi anni della Repubblica con la stesura della Costituzione nel 1947. 

In quegli anni la scuola era vista come il massimo elemento propulsore della società e il museo si rivolse alla scuola per avviare una sua partecipazione all’impegno sociale e civile nell’educazione dei cittadini attraverso la partecipazione dei musei più illustri.

Se il museo, come la scuola, erano visti quali fattori propulsori della crescita culturale e morale della società italiana, occorreva avvicinare queste istituzioni tra loro e al grande pubblico. E per far ciò – come osservava Pietro Romanelli – direttore generale delle Belle Arti al Ministero della Pubblica Istruzione – bisognava “studiare i mezzi più acconci per avvicinare il museo al pubblico, farlo entrare sempre più intimamente ..nel vivo della società moderna, come elemento attivo ed insostituibile dell’educazione e dell’elevazione culturale e spirituale della società stessa”. 

Si deve considerare, anche, che il ministero dei beni culturali nasce nel 1974 e che fino a quel momento i beni culturali erano sotto il Ministero dell’Istruzione.

Nel 1969, presso il Ministero della Pubblica Istruzione si è istituita una Commissione per la Didattica dei musei con la finalità peculiare di rendere istituzionale il rapporto tra scuola e museo.

Nella pratica però, fino al secondo dopoguerra, è prevalsa nei musei “la dimensione conservativa, un orientamento alle collezioni anziché al pubblico

Il termine “museo” ricompare nella legislazione riguardante i beni culturali soltanto nel 1948 nell’ambito delle materie da affidare alle Regioni. Le competenze reali saranno effettivamente esercitate da questi Enti soltanto con il DPR 3/72 e il Decreto 616/77. 

Per queste ragioni il sistema scolastico e quello dei beni culturali – anche se formalmente collocati in un’unica Amministrazione – rimarranno separati, in pratica, sul piano della funzionalità educativo-didattica fino a tempi relativamente recenti.

Negli anni ‘50 si diffonde, attraverso l’opera di organismi quali l’UNESCO e in particolare l’ICOM, una nuova cultura per lo sviluppo in ambito internazionale della consapevolezza dell’utilità della didattica museale e del ruolo sociale dei musei per la formazione umana e del cittadino.

Nei musei più strutturati si vanno costituendo le sezioni didattiche, dipartimenti con personale addetto alla cura del pubblico scolastico e, allo stesso modo, all’interno della scuola si sviluppa l’interesse di accostarsi ai beni culturali a scopo pedagogico e didattico.

Eppure la separazione tra scuola e musei diviene istituzionalmente definitiva, poi, con l’istituzione del Ministero per i Beni culturali con la legge 29 gennaio 1975, n. 5

Se è vero,infatti, che tutti i programmi scolastici, a partire dall’Unità d’Italia, hanno fatto riferimento in vario modo al patrimonio culturale nazionale sollecitando visite e viaggi d’istruzione, è pur vero che è mancata una sistematica azione di raccordo tra i due tipi di istituzioni, come osservato da Pietro Romanelli.

Franco Russoli, considerato il primo museologo italiano moderno, sottolineava la funzione del museo come elemento attivo nella società: “Che sia quindi uno strumento maieutico, di conoscenza problematica della natura e della storia, che non guidi ad un indottrinamento dogmatico, ma dia materia e occasione a un giudizio libero, spontaneo, magari contestatario, maturato attraverso il rapporto spontaneo con i documenti originali dell’evoluzione della vita della natura, della società, dell’uomo.

Un altro famoso storico dell’arte, Giulio Carlo Argan, si mostrava sensibile alle suggestioni pedagogiche dell’estetica deweyana e su tali suggestioni progettava e teorizzava nuovi interventi e nuove possibilità circa un uso educativo del museo. Lo studioso, che si era già occupato dei problemi legati ad un nuovo uso del museo, facendo riferimento al pensiero del filosofo americano ne sottolinea l’aspetto educativo “Se arte è educazione, il museo deve essere scuola”.

Dagli anni ‘70 ad oggi, si sono alternati momenti di grande studio e dibattito attorno al rapporto educativo scuola museo. Se da un lato era indubbio che all’interno del museo si svolgesse una relazione educativa che agiva come amplificatore e produttore di conoscenze, dall’altro l’avvicinamento della pedagogia alle scienze che si occupano del museo è rimasta marginale a causa di resistenze disciplinari, che non sapendo bene dove collocare la didattica museale, questa veniva destinata ad una funzione estemporanea dettata dalla buona volontà piuttosto che da convinzioni o elaborazioni frutto di progetti didattici condivisi.

Nel 1996 si tiene la “Commissione per la didattica del museo e del territorio” presieduta da Marisa Dalai Emiliani per l’avviamento di un Sistema nazionale di educazione al patrimonio culturale. 

Il 20 marzo 1998 tra il Ministero dei Beni Culturali e ambientali e il Ministero della Pubblica Istruzione, si istituisce l’Accordo Quadro, nel quale è suggellata la condivisione di obiettivi e indicate strutture e metodologie di intervento per le attività didattiche sui beni culturali, con la costituzione di progetti formativi pluriennali da attivarsi in convenzione con le scuole e i musei.

Franco Cambi definiva nel 2003 l’educazione ai beni culturali un’emergenza socio-culturale. Cambi ricorda che la scuola ha il compito “di costruire una sensibilità e una forma mentis in modo che ogni cittadino sia reso consapevole dei diritti e dei doveri che ha rispetto a questi beni, perché li riconosca, li sappia leggere, li sappia apprezzare, fino a considerarli come suoi. Spiritualmente suoi.”

 

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